lunedì 5 marzo 2012

La vergogna, la crisi e i modi di godimento (prima parte)

La crisi è "economica" nella misura in cui la si vuole ridurre a fatto monetario, ma non sfugge a nessuno che per prima cosa è crisi etica. Accade che il tenore di vita dell'uomo venga minacciato da una riduzione dei suoi consumi, in molti casi fino all'impoverimento, alla quasi totale impossibilità di accedere alle forme di soddisfazione eccedenti il mero sostentamento. Da un lato, questa riduzione viene avvertita come angosciante, da un altro sorge l'idea che altri abbiano sottratto, per ruberia, truffa o incapacità, quello a cui si deve rinunciare.
La vergogna, in questo caso, è quanto si imputa come mancante al padrone che non ha saputo o potuto esimere l'onesto cittadino dalla miseria. Il buon padrone resta colui che sappia ammistrare la povertà calcolata, il buon governo che commisura le risorse per mantenere inalterato il plus-valore a vantaggio del capitalista per goderne tutti.
Sappiamo come è finito il gioco: il capitalista non solo non ha nessuna buona intenzione, anzi si rammarica che ancora qualcuno tenti di dimostrare l'iniquità della sua impresa.
Oggi il capitale uccide e divora il capitale e non resta che la finanza al posto della produzione. Il prodotto del capitale non è il lavoro su cui esercitare un'esazione di quota redditizia; esso si limita a moltiplicare il denaro per ottenerne ancora. La bocca del capitalismo divora i suoi figli.
Crollato il mito della crescita (seppure la si invochi a panacea di ogni male), si abbattono le credenze: quelle sull'economia politica per prima (gli economisti sono sempre i più sorpresi), la statistica per seconda (anche se si insiste per fare questionari e modelli che puntualmente falliscono), il sapere universitario (regno della disoccupazione che illude con il sapere universale) per terza, lo stato di benessere e lo Stato di diritto (persi per strada, ingoiati dalla frattura dei legami sociali) per quarta.
Caduto verticalmente il Nome-del-Padre, con le ideologie che ne sostenevano il ruolo, cedono i princìpi della massa artificiale. Non c'è da farsene un cruccio, tantomeno mettersi al lavoro per ristabilirne il peso.
E' il rischio autoritario che incarna il desiderio di elevare un padrone per supplire al deficit del capitalismo; il secolo scorso ne è stata una dimostrazione inequivocabile. Da qui una certa inquietudine per il fatto di non potersi appellare al padre fondatore effettivo dell'ideologia: sia tedesca che orientale, laica o religiosa, nazionalistica o globalizzante. Senza bussola, la navigazione è a vista.
Due questioni: come si è persa la bussola e cosa implica questo per il futuro.
Per quanto concerne il futuro, si potrebbe ben dire che è il revenant per eccellenza, in quanto sembrava proprio cancellato dalla "fine del tempo" della società contemporanea. Alla prematura dipartita del tempo ha contribuito di certo la solidità, creduta eterna, delle ideologie forti. Comunismo e fascismo sono concordi nello stabilire a priori la necessità di classi stabilite, leadership necessarie, saperi indiscutibili. Come già visto cento volte nella storia (cambiando i princìpi e i prìncipi) la teoria dell'immutabile (Dio compreso) ha sempre affascinato il popolo: individualmente si è trattato di credere all'immortalità, se non dell'anima almeno di qualcosa, e la si è chiamata di volta in volta tradizione, morale, status, benessere, nazione, territorio, etc. Ovvero ripetizione senza differenza, ripetizione dell'Uno eternato. Il "da sempre per sempre" scava oltre l'essere e il tempo.
Per la bussola (altra scomparsa eccellente), il suo cadavere resta sospeso al cielo di cui non parla l'ottimo Baumann. Se la società è liquida, il suo mare resta innavigabile e la roccia attende chi si avventura tra le onde.
Nell'epoca dell'Altro che non esiste, la bussola del Nome-del-Padre non è più efficace, in quanto i significanti dell'Ideale dell'Io si sono dissolti in favore della cognitività, del comportamentismo assurto al rango di scienza psicologica per l'adattamento dell'uomo/macchina produttiva al discorso della scienza, quindi all'occultamento del soggetto.

venerdì 2 marzo 2012

Petizione internazionale a favore dell'approccio clinico dell'autismo

Su iniziativa dell’Institut Psychanalytique de L’Enfant

(Università Popolare Jacques Lacan)
Le associazioni,
I Professionisti implicati nell’accoglienza, la cura e l’accompagnamento dei soggetti autisti,
I Genitori i cui bambini sono accolti in strutture mediche o medico-sociali,
I cittadini interessati, francesi e non, firmatari di questa petizione,
- domandano che la psicoanalisi, le sue ricerche e i suoi praticanti, cessino di essere diffamati con affermazioni che mirano a screditarli;
- auspicano che i poteri pubblici prendano in considerazione la legittima preoccupazione delle famiglie, senza dimenticare tuttavia il lavoro che, da decenni, le equipes di professionisti con bambini e adulti autisti compiono nel quadro dei settori di psichiatria, delle consultazioni private, delle istituzioni medico-sociali. Questo lavoro beneficia, in numerosissimi casi, della formazione psicoanalitica di coloro che vi intervengono,
- auspicano che l’inquietudine delle famiglie non sia sfruttata per designare dei capri espiatori, né denigrare dei professionisti ingaggiati a promuovere le istituzioni e le pratiche che garantiscono che il bambino e la sua famiglia saranno rispettati nei loro momenti soggettivi,
- considerano che in Francia, la rappresentanza nazionale, nella sua saggezza, eviterà di pronunciarsi su un problema di salute pubblica che, ben lungi dall’essere trascurato, è da tempo preso in considerazione,
- fanno appello a che sia messo in atto un piano capace di assicurare i mezzi umani e strutturali necessari al proseguimento delle cure e dell’accompagnamento educativo richiesti dalla situazione singolare di ogni bambino e adulto sofferente di autismo.