Trasparenza:
fantasma e materia
di Silvano Posillipo
Il
paradosso della trasparenza è nella costruzione di una cinematica
idealizzata dotata della virtù di non mostrare altro che l’assenza.
Autoreferenziale: la sua essenza è di fondarsi sulla presunta
innocenza, della mancanza di macchia, di resto, di scarto. Si chiude
sul suo stesso messaggio, permettendo la coincidenza e la
sovrapposizione tra colui che invia il messaggio e colui che lo legge
per creare un nuovo tipo di soggetto la cui divisione resta occultata
dalla messa in evidenza di un tutto visibile e inappellabile.
Soggetto mediatico e massificato che non ha l’Altro da interrogare
sulla sua singolarità.
Trasparenza
quindi come macchina dell’interpretazione escatologica e
democraticamente ineccepibile. Anche per questo il “dato”, una
volta estratto il concetto stesso di numero, impedisce, con una
deduzione a priori, la possibilità di equivoco.
L’astuzia
del primo ministro di Poe nel far divenire trasparente alla vista la
lettera rubata è oggi modalità costante e reiterata. Dupin, solo,
avverte come punto opaco la stessa visibilità manifesta della
lettera.
Trasparente
deve divenire il soggetto stesso alla pratica del controllo,
trasparente all’Altro per l’Altro.
La
clinica offre numerosi esempi di tentativi e messe in opera del
fantasma della trasparenza: l’anoressica per consentire alla vista
la presenza dello scheletro con cui deformare il desiderio alla punta
estrema dell’estetica, nel punto esatto dove il godimento del
controllo del proprio corpo esercita un potere orrifico su colui che
guarda, consegnando l’oggetto causa alla presa del super-io
nell’identificazione a quell’osso messo di traverso al desiderio
e alla voracità. La trasparenza è qui usata per mostrare all’altro
la sua inutile castrazione.
L’ossessivo
fantastica, come Freud aveva colto nelle idee infantili di
super-visione da parte dei genitori, di poter diventare invisibile:
poter commettere il crimine (l’unico vero crimine il parricidio)
sottraendosi alla Legge per assenza di un corpo a cui attribuire la
colpa. Soluzione invocata per uscire senza rischi dalla sua fortezza
alla Vauban, come si esprime Lacan nel quinto Seminario. Senza il
corpo allora non vi è crimine, non vi è il godimento manifesto alla
domanda dell’Altro, ma furto di visione, del goderne, capovolgendo
la vergogna sull’altro. Qui il fantasma di farsi trasparente
implica la riduzione a puro sguardo del soggetto davanti all’altro
che non sa del suo godimento trattenuto.
Altra
trasparenza nell’anima bella dell’isteria nel farsi operatrice,
nel prodigarsi per l’altro, del suo essere tutta disponibile, ma
saturando la domanda e così rendere impossibile cogliere la
mancanza ad avere.
La
perversione dà ancora un altro modo di intendere l’uso del
fantasma. L’applicazione dello stesso è nel perverso come
attrattiva per quell’oggetto che fa causa per l’altro (la virtù,
la bellezza, l’ideale, la verità, il bene, la certezza) e per il
quale segue la legge; trasgredirla serve per mostrare l’evidenza
del contrario: l’unica modalità adatta al corpo, reso trasparente
alla volontà, è la legge del godimento, il farsi strumento
dell’imperativo.
Del
resto lo stesso Freud sceglie Edipo per farne un mito illustrativo.
Edipo che per l’appunto non teme l’oracolo di Delfi, ritenendolo
esatto - la sua personale storia glielo confermava - e pertanto si
sente trasparente all’accusa che grava sulla città di dare asilo
all’assassino. Innocente per diritto vuole svelare, mostrare al
popolo che non è complice del misfatto e che perseguiterà il reo.
Tiresia indica l’altra cecità, quella che risiede nell’inconscio
freudiano, per cui non si può calcolare la verità.
Lacan
sottraendo la verità alla presa (facendone di conseguenza una
causa), supera la dicotomia sapere/verità e approda a una dimensione
che si inscrive nell’uomo oltre il linguaggio: il reale.
Per
l’uomo attuale questa dicotomia, fulcro della dialettica
hegeliana, cerca nella sintesi, nel pensiero unico, la sua
esaustione.
E’
interessante osservare come nella certezza scientifica di poter
consumare la verità con la tecnologia si annidi l’ideale della
metafisica: l’Uno senza l’Altro. Giungere all’Uno, che possa
essere sopportato senza colpe e senza la presenza di un dio nei
cieli a cui poter attribuire un sapere incognito (l’imperscrutabile
volere divino) che introduca un luogo immaginario a S(A/).
Verità,
nelle prove scintifiche, come valore assoluto è il modo della
scienza di costruire la dimensione del reale: vuole farsi un reale a
partire dalla verità, dal proprio linguaggio purificato.
La
scienza si presenta quindi come universale, l’universale della
normalità, la norma riassunta dalla scienza stessa. Il suo paradigma
è di pensare sempre il presente. Oggi si trova in pole position
proprio perché la scienza meglio di altro si aggrappa al presente
senza storia.
Questo tutto
da vedere nella
trasparenza dice che ciò che fa ostacolo è un oggetto che si
sottrae al concreto, dispone di un altra materia che è significante
e non di senso, trasparente alla macchina elettronica come lo era
stata alla filosofia. Si tratta di un oggetto che il fantasma mette
in scena in connessione con il soggetto dell’inconscio dandone un
immagine sopportabile e articolabile: ricordo qui l’angoscia con la
madre del piccolo Hans, per il quale c’è un troppo
nel disgusto materno e un niente
oltre il giallo del suo intimo. Dovrà farsi una scena adeguata per
mettere in ordine la differenza tra ciò che la madre desidera e il
modo per goderne. Annodare la questione in un sintomo è il contrario
della mostrazione di sè, per confermare e riconoscere un sè in un
selfie.
La pratica dell’outing suppone infatti un poter dire
di sè, di riprodursi in una psicoterapia per essere uguali, nel
tutti uguali rispetto al godimento e per distribuirsi , secondo
protocollo del padrone, nella categoria del possibile e misurato
rapporto sessuale.
E’ forse il tentativo di generare un tempo dello
sguardo, sempre ripetuto, dove i feticci conservino il desiderio per
un domani in cui non avere nostalgia.
Genova, settembre 2014