venerdì 8 novembre 2013

Melancholia

Melancholia è, nella pellicola del regista Lars Von Trier, il nome di un pianeta in rotta di collisione con la Terra: splendente, luminoso, può anche, forse, ricordare Venere, la stella del mattino, altro pianeta che compare nel cielo dei poeti. Forse anche Saturno, già accostato per via mitologica alla malinconia.
Film ricco di suggestioni e di citazioni, piaciuto in buona misura anche al festival di Cannes, edizione 2011, dove è stato presentato e, dove, per non premiare il regista in vena di battute filo naziste, ha ricevuto la Palma la protagonista femminile Kirsten Dunst.
In effetti due sono le interpreti principali, Kirsten Dunst e Charlotte Gainsbourg nei panni di due sorelle: Justine e Claire. La prima mostra in sé diversi tratti della depressione, la seconda efficiente, adattata in buona misura alla vita borghese che il marito, scienziato per diletto, ma essenzialmente un benestante senza problemi economici, le offre nell’agiatezza, non senza recriminare sulla famiglia di origine della moglie.
La cerimonia e la festa di matrimonio di Justine mostrano senza reticenze lo sfascio vitale del nucleo originario delle due sorelle: madre e padre, nonostante l’evento e il pranzo che ne segue, colgono l’occasione per centrare l’attenzione degli invitati sul fallimento della loro unione, senza tralasciare di rivolgersi le peggiori critiche. Justine, amata dal marito, provvede a distruggere subitamente il nuovo legame con l’uomo tradendolo la sera stessa con un collega e, quasi di seguito, rompe anche il contratto di lavoro insultando pesantemente il principale, nonostante avesse ricevuto dallo stesso una migliore posizione aziendale come regalo di nozze. La seconda parte del film, dedicato a Claire è segnata da due situazioni: le cure dedicate alla sorella, Justine, in pieno marasma psichico e l’avvicinarsi minaccioso e ineluttabile del pianeta Melancholia alla Terra.
Film scelto dalla commissione organizzatrice in preparazione del prossimo congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi che si terrà a Parigi nel 2014 e che avrà come tema il Reale per il XXI secolo. Vediamo allora alcuni dei motivi, tra quelli che ho incontrato nella visione personale del film, che sottolineano il rapporto e l’evidenza della dimensione del reale:
a) la presenza evidente dell’incontro, traumatico e inevitabile con il pianeta ha la consistenza di un elemento che segue un proprio tracciato in modo avulso dal volere umano;
b) questo tragitto è modulato da una linea matematica, calcolabile scientificamente, ha in sé una legge che si può dedurre, scrivere in una forma leggibile, visualizzata nel diagramma che Claire vede attraverso il computer. Lo stesso percorso che il marito segue, prima con la fiducia nella Terra/Uomo di mancare l’incontro, poi nell’angoscia incommensurabile dell’impossibile che ne determina il cammino. La scrittura dell’evento non ne limita, simbolicamente, il percorso: c’è un fuori simbolico che nessuno è in grado di decifrare nella “volontà” di questo incontro decisivo;
c) Von Trier racconta di aver pensato il film a seguito di un periodo depressivo. Forse Justine rappresenterebbe per l’autore il personaggio a cui meglio si identifica, ma non sono del tutto d’accordo perché anche gli altri soggetti in scena dicono qualcosa della posizione soggettiva del regista che si scompone nelle varie forme che appaiono. Justine ha i tratti canonici della depressione: difficoltà e bizzarrie nei legami sociali, astenia alternata a maniacalità; osserva, ammirata e rapita la Cosa il pianeta con indifferenza, al punto di lasciarsi illuminare dalla sua luce nella notte come un sole diverso. Il corpo nudo, che appare in questa luce notturna riflessa, e mostrato da Justine senza pudore dice di come di fronte al reale il livello simbolico della vergogna venga superato, alienato. Justine è l’unica, infatti, che potrà guardare l’arrivo del pianeta, fino al momento del contatto: il reale, non avendo limiti, è devastante essendo l’umano, l’umanità inadattabile al reale in quanto tale. Questione fondamentale per intendere la proposta teorica della psicoanalisi di Lacan. Il trattamento del reale è l’ipotesi clinica che va colta come scommessa di questo secolo, anche in relazione con gli sviluppi della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche. La posizione di Von Trier è simmetrica rispetto alla prospettiva evoluzionistica della scienza, che in forma di nuova religione proietta le scoperte della biologia e della fisica verso un disegno di auto divinizzazione.
Il marito di Claire si suicida con i farmaci che la moglie aveva programmato di assumere per evitarsi l’angoscia della fine di sé e del figlio. Atto che mostra il fallimento del controllo del reale e della psiche attraverso la ragione e la ragionevolezza. L’ansia che aumenta per Claire non può essere delimitata dalle rassicurazioni scientifiche, la morte del marito, simile a quella di Giocasta nell’ Edipo Re, serve solo per riaffermare la presenza della Cosa. Diversamente da Sofocle questa morte non si scrive nella vicenda, si designa solo come un dettaglio laterale. In altri termini non vi è racconto, trama che possa essere seguito dal coro, dal popolo, dall’Altro, nemmeno nella forma nel fantasma, nel destino dell’umano nella colpa. Lo scienziato muore nell’impossibile della rassegnazione etica e immoralmente si da la morte come unico atto che possa riuscire. Da notare come questa morte avvenga nell’anonimato e il soggetto non venga evocato dagli altri personaggi, nemmeno il figlio attenderà protezione dal padre; il che lascia pensare a un padre già morto nella vita, nella sessualità del figlio.
Del resto è una costante del film mostrare l’insipienza paterna, l’abbandono del padre delle due sorelle, in scena: ridotto a uomo del piacere non può in nessun caso far da limite al godimento che si introduce attraverso il dileggio, il disprezzo, l’insufficienza dell’autorità, persa seguendo l’essere zimbello del desiderio.
d) le donne: essenza del film, dispongono la trama attraverso la divisione solo apparente nei diversi stili delle due sorelle; Justine è la donna che non sa assumersi il femminile, il suo essere rimane nel rapimento della Cosa, spettatrice della dissipazione del legame e si riduce come soggetto ineluttabilmente a puro sguardo sull’immondo. Il relativismo del suo giudizio non si rivolge al dubbio, all’incertezza di una risposta possibile, ma solo sulla certezza del male. La protagonista del film è stata chiamata da Von Trier con lo stesso nome di un famoso personaggio sadiano, Justine, e ciò, forse, nell'economia del film, serve per poter sottolineare il tratto malinconico che ben si presta a sostenere il destino di sacrificio del soggetto di fronte alla deriva della pulsione di morte.
e) l’omaggio a Bunuel con la citazione dell’Angelo Sterminatore, film in cui i personaggi non riescono ad uscire da una stanza; così, allo stesso modo, le sorelle Justine e Claire, non riescono a superare un ponticello al confine della tenuta in cui vivono: soglia insuperabile della potenza gravitazionale del pianeta in avvicinamento.
f) la scomparsa o meglio, l’inutilità, degli ausili elettronici. Non c’è nel film la soluzione tecnologica, l’apporto tranquillizzante o di pura conoscenza dello strumento scientifico. La stessa Claire usa, per conoscere i movimenti del pianeta, uno strumento fatto di semplice fil di ferro ripiegato. E’ evidente il riferimento a un “senza tempo” della vicenda, un senza l’Altro, assorbito dal godimento della Cosa, difforme dalle sequenze ordinate della vita borghese fratturata dal reale.
Claire, la donna borghese che tiene assieme la famiglia e che lotta fino alla fine per salvare la vita a sé e al proprio figlio può angosciarsi per ciò che perde. Justine, al contrario, viene associata a Ofelia, colei che nell’Amleto non sopporta la perdita, del padre e dell’amato e si abbandona al reale preferendo la morte al lutto.